6. quinta tappa: ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE
La siderurgia
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Nel 1600 sul solo territorio premanese erano presenti cinque forni fusori attivi: in località Alpe Soglia (oggi “Forni”), a Giabbio, (forno detto di San Giorgio), al Ponte “di Bonom”, all’imbocco della Valmarcia e al ponte di Premana.
Le strutture, come le miniere, erano raramente di proprietà di famiglie premanesi, ma dalla fine del ‘600 i Bellati ne acquisirono alcune. Nel 1759 il notaio Carlo Giuseppe Bellati realizzò un complesso siderurgico completo di forni, carbonili e fucine: è quello che vediamo oltre il torrente e che prese il nome di Cameroon (grande stanza).
A fine‘700 lo stesso Bellati provò anche (senza molto successo) ad attivare alcune miniere, mentre il carbone, nonostante i provvedimenti di tutele forestale introdotti dagli Asburgo, si faceva ogni giorno più scarso.
Lo sfruttamento minerario del territorio era avviato verso un declino
inarrestabile: al 1846 risale l’ultima fumata di un forno premanese.
La rivoluzione industriale
A fine ‘800 si contavano ancora, però, numerosi impianti lungo il
Varrone: ben 14 fra mulini, fucine e segherie. In questo periodo
l’emigrazione si ridusse e alcuni emigrati di ritorno aprirono officine
in paese: fu l’inizio della nostra “era industriale”.
Fra costoro, va ricordata la personalità di Ambrogio Sanelli,
vero pioniere dello sviluppo dell’artigianato locale. Nel 1860 il Sanelli ritorna in paese dopo aver appreso il mestiere in officine di premanesi a Venezia e a Verona. Recupera dunque una vecchia conduttura d’acqua, rimette in moto un’antica ruota per azionare i magli e, qualche anno dopo, con Mosè Gianola, crea la prima attività industriale a Premana.
L’evento rimane nella memoria storica del paese anche grazie alla canzone popolare che lo celebra.