8. settima tappa: SAN ROCCO

Nemmeno il territorio dell’alta Valvarrone è risparmiato dalla peste di manzoniana memoria. 

I Lanzichenecchi (già impegnati nel sacco di Roma del 1527) vengono di nuovo assoldati dall’imperatore Ferdinando nel 1628 e, l’anno successivo, ridiscendono in Italia diretti a Mantova. Attraversano la

Svizzera, scendono per la Val Chiavenna fino a Bellano e – mancando il collegamento con Lecco lungo il lago – risalgono la valle fino a Taceno. Insieme a saccheggi e distruzioni, portano la peste, che anche nei nostri paesi miete molte vittime.

Il cimitero di Premana, allora vicino alla parrocchiale, non basta ad accogliere i numerosi morti, che si seppelliscono dapprima in un terreno adiacente; vent’anni dopo i resti vengono traslati in questo spazio, a loro dedicato. È solo nel 1790, però, che i premanesi residenti a Venezia fanno erigere questa cappella – come recita il cartiglio all’interno – a ricordo della grande epidemia.

Il ruolo di finanziatore ricoperto da una comunità di emigrati non è casuale: all’intenso attaccamento a Premana, sempre conservato, essi uniscono le disponibilità economiche necessarie all’opera. Nel 1861 si commissiona a Giovanni Maria Tagliaferri la decorazione della cappella. L’iconografia è quella tradizionale: gli affreschi in fondo rappresentano la Vergine con san Giuseppe e santi Rocco e Sebastiano; ai lati vediamo sant’Antonio e il Battista, sulla parte sinistra la pietà cristiana di san Rocco e sulla destra la morte che galoppa sopra le vittime della peste. Il cancello in ferro battuto che
chiude il recinto è realizzato a Venezia, dalla ditta Bertoldini, nel 1897.

Col tempo, l’espressione «a Saròch» (a San Rocco) passerà a significare, per i premanesi, «al cimitero».

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Emigrare dalle valli, non solo a Venezia: la cappellina detta “di Toscaan”

Questa edicola (stella arancione sulla mappa), ricostruita in epoca recente, fu voluta a metà ‘800 da emigrati premanesi in Toscana, come testimonia la scritta sul bassorilievo originale, in marmo di Carrara, conservato all’interno.

La presenza in Carrara di fabbri valsassinesi è provata fin dal 1400: erano detti “magnani milanesi” e probabilmente operavano nei pressi delle cave di marmo statuario, fornendo le attrezzature necessarie ai cavatori.
L’emigrazione premanese prese la via di Milano, Torino, Bergamo, Verona; di Bologna, Ravenna, Roma e persino della Spagna